Lorelei and the Laser Eyes - Recensione

Vedere il mondo con gli occhi laser.

Lorelei and the Laser Eyes - La recensione

Simogo è uno sviluppatore svedese fondato da Simon Flesser e Magnus Gardebäck. Nel 2010 muove i primi passi nel panorama mobile con produzioni pensate prevalentemente per dispositivi iOS, che spiccano per eleganza visiva e per le originali scelte narrative. Grazie al talento dimostrato, nel 2019 lo studio entra nell’orbita di Annapurna con cui pubblica Sayonara Wild Hearts, un rhythm game con elementi action che mette in scena, in un fantasmagorico trionfo di immagini e musica, il percorso di autoterapia di una giovane donna dal cuore spezzato. Oltre allo spettacolo estetico, il gioco offre un’interessante commistione di elementi apparentemente in antitesi tra loro tratteggiando un mondo virtuale e fantascientifico dominato da forze esoteriche incarnate dagli arcani dei tarocchi.


Lorelei and the Laser Eyes arriva ben cinque anni dopo quella prova di forza artistica e rispetto al suo predecessore, che trascinava il giocatore in un turbinio di stimoli sensoriali, abbraccia una dimensione molto più contemplativa dell’esperienza: spogliandosi quasi del tutto dei colori sgargianti e del dinamismo dell’azione, si presenta quasi alla stregua di un’esposizione museale virtuale a scala di grigi delle idee, delle ispirazioni e della storia dei suoi autori.

Letztes Jahr à Marienbad

Una giovane donna viene invitata da un eccentrico regista italiano a partecipare al suo nuovo, rivoluzionario progetto artistico; il luogo dell’incontro è un vecchio hotel apparentemente deserto, il “Letztes Jahr”, che sorge in un’indefinita località dell’Europa centrale. Vuoi per la suggestione del bianco e nero, non è difficile cogliere subito nella presenza minacciosa dell’edificio e della foresta che lo circonda un richiamo alla villa Spencer del primo Resident Evil.

La scelta del bianco e nero predominante, oltre a essere una soluzione estetica raffinata, è anche un modo per distogliere la mente dai particolari inessenziali.

Il senso di déjà vu si fa ancora più insistente di fronte alla realizzazione che anche qui, come nel classico di Shinji Mikami, tutte le porte sono chiuse e vanno aperte completando una serie infinita di rompicapi (alcuni di natura tradizionale, altri decisamente più innovativi) che costellano praticamente ogni aspetto dell’esperienza: bisogna risolvere enigmi per trovare le mappe dei piani da visitare, per evitare di morire in particolari momenti della storia, per trovare scorciatoie… C’è un rompicapo addirittura per arrivare ad acquisire “l’abilità” di correre.

Gli indizi per raggiungere le soluzioni sono per lo più disseminati dentro lunghe pagine di appunti, lettere e documenti rinvenibili nei meandri dell’hotel, che hanno anche lo scopo di dare forma al contesto in cui la nostra silenziosa protagonista si muove. Sebbene per giungere ai titoli di coda sia necessario superare ogni singola sfida – non c’è nulla di secondario in questo senso nel gioco, e ogni tassello è indispensabile per avvicinarsi alla verità – la tipologia delle stesse varia moltissimo a seconda della porzione di mistero su cui si sta indagando, e in ogni momento è possibile portare avanti più ricerche in parallelo. Nella circostanza, non infrequente, in cui ci si ritrovi bloccati su un particolare rompicapo, c’è sempre la possibilità dedicarsi momentaneamente ad altro per tornare a ragionarci a mente fredda in un secondo momento, anche perché all’interno del gioco non è presente nessun sistema di aiuti.

Va da sé che anche la storia che viene raccontata è a sua volta scompaginata e proposta come un puzzle da ricomporre, ma conduce a un finale che non è affatto nitido e rassicurante come la risposta a un indovinello, ma proprio in questo contrasto sta la sua bellezza. Simogo costruisce un solido recinto di logica da scardinare con la razionalità solo per celare al suo interno i frammenti di una verità evanescente sul valore dell’arte e la fragilità della memoria. Proprio come in Sayonara Wild Arts, lo studio svedese si dimostra anche qui capace di accostare con naturalezza forme espressive agli antipodi per delineare un quadro sfaccettato e complesso; ma se lì eravamo lanciati nel vivo della storia narrata, qui siamo invitati a inseguire un passato sfuggente che tende a deformarsi sotto alla lente dell’osservatore, e in questo senso anche le passioni e i sentimenti dei personaggi suonano come echi lontani.

Una variante del classico labirinto da attraversare dove la prospettiva frantumata non è solo una sfiziosa trovata di gameplay, come potrebbe sembrare a prima vista.

D’altro canto, il fascino di questo genere di giochi sta principalmente nella sfida intellettiva che lanciano, ma Lorelei and the Laser Eyes non ha la vocazione avventurosa di Myst e neanche l’impeccabile metodicità di The Witness; scegliendo di soffermarsi su un racconto personale intimo ed elusivo, lo fa in maniera poliedrica, a volte persino rapsodica, ma concedendosi il lusso di arricchire la formula cristallizzata del genere con diversivi inaspettati, che regalano brevi parentesi di tensione e persino momenti di sincera commozione. Non a caso, una delle principali ispirazioni del gioco è L'Année dernière à Marienbad (Letztes Jahr significa proprio “l’anno scorso”), il discusso film del 1961 di Alain Resnais che fece scalpore proprio per il modo in cui rompeva con le convenzioni narrative cinematografiche dell’epoca.

Un gioco di specchi

Con altrettanta efficacia, il duo scandinavo sceglie di comunicare anche attraverso alcuni originalissimi richiami visivi gli stessi concetti, tanto che sulle facciate dell’hotel e in determinate stanze vediamo proiettate le foto di alcuni luoghi reali, come il castello di Kronovall in Svezia. Ugualmente sorprendenti sono i frequenti cambi di stile che rimandano ai videogiochi del passato, in un continuo avvicendarsi di sovrapposizioni sonore, spaziali, temporali e, soprattutto, semantiche: nel labirinto accidentato della memoria, i percorsi confluiscono e le prospettive si fondono come nella scala di Penrose, una sintesi illusoria dell’indistricabile complessità dell’esistenza. L’arte a sua volta – specialmente quella performativa, qui rappresentata attraverso un ricorso costante alla metalessi – si rende indistinguibile dalla vita vera e finisce per coabitare gli stessi spazi nei ricordi.

Non ci sono mostri o veri e propri “nemici” da affrontare nel gioco, ma l’hotel è infestato da un altro tipo di presenze minacciose.

L’unico modo per orientarsi in un simile dedalo è seguire il filo rosso della progressione logica tracciata dagli enigmi, che richiedono incessantemente l’ausilio di carta e penna per essere affrontati evocando un confronto con una dimensione materiale e concreta anche in questo caso in antitesi con la natura digitale dell’oggetto da esplorare. Allo stesso modo, la scelta di Simogo di limitare tutte le interazioni all’uso di un solo tasto è dettata da una volontà di semplificazione dell’aspetto interattivo dell’esperienza, che però finisce, paradossalmente, per complicare la vita a chi è abituato a navigare le interfacce virtuali dei videogiochi a colpi di automatismi.

Verdetto

Lorelai and the Laser Eyes ha il fascino del suo titolo: è un oggetto misterioso e polimorfo, concreto e sfuggente al tempo stesso. È un intrigante enigma esistenziale nascosto dietro un rituale di numeri, simboli, immagini e parole. Si appoggia alle convenzioni del genere ma non ha timore di sfidarle per raccontare un viaggio intenso e malinconico lungo i sentieri accidentati della memoria.

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Lorelei and the Laser Eyes - La recensione

9
Ottimo
Lorelai and the Laser Eyes non ha solo il merito di essere un rompicapo confezionato con estrema cura che farà la gioia degli appassionati di enigmistica, ma è soprattutto il racconto profondo e complesso a elevarlo come uno degli esponenti migliori e più originali del genere.
Lorelei and the Laser Eyes