Indika - Recensione

Chiedi e verrai ingannato.

Indika - La recensione

Indika è una giovane monaca che trascorre le sue giornate in un monastero sepolto nella neve barcamenandosi tra il tedio dei doveri quotidiani, le angherie delle altre consorelle che la disprezzano e le continue provocazioni del Diavolo, unico e indesiderato interlocutore che sembra abitare nella sua testa. Un giorno le viene affidato l'incarico di consegnare una lettera al patriarca di una città vicina, e sarà l'inizio di un viaggio surreale e rocambolesco in una Russia alternativa di fine '800.

Il gioco si apre su uno scorcio di vita monastica scandita da compiti futili e ripetitivi che ci vengono propinati solo per farci sperimentare la "fatica inutile che sta alla base dello sviluppo spirituale" – commenta beffardo il Diavolo – ed è subito chiaro come la critica a un certo tipo di pensiero religioso si sovrapponga a quella, altrettanto ficcante, verso la tendenza alla ripetitività di certi videogiochi.

Quando però la storia entra nel vivo, il viaggio di Indika assume i contorni di un'avventura grafica contemporanea che alterna alle fasi esplorative altre in cui bisogna risolvere dei semplici enigmi ambientali, senza grandi guizzi di originalità e senza che la parte ludica prenda mai il sopravvento su quella narrativa. Anzi, in alcuni momenti particolarmente interessanti, le due componenti dialogano intensamente rafforzando il valore simbolico di certe scelte estetiche e di gameplay: ne è un esempio il peculiare sistema di "crescita" del personaggio o il fatto che il passato della protagonista sia tratteggiato in una nostalgica pixel art; oppure ancora la presenza di brevi sequenze surreali in cui il mondo di Indika letteralmente si spacca a metà sotto il peso delle provocazioni del Diavolo (dal greco "diábolos", colui che divide) dando forma a un conflitto interiore che si rimargina solo di fronte a un profluvio di giaculatorie.

Tuttavia, quando Indika "fa il videogioco" e non ci delizia coi suoi dialoghi e trovate sceniche più brillanti, è il momento in cui si rende meno interessante, tanto che, in netto contrasto con una direzione artistica e una regia degli intermezzi filmati mai scontate, nei momenti veri e propri in cui si prende il controllo di Indika si scivola in una fastidiosa genericità. Per essere più precisa, è straniante vedere la giovane monaca – così espressiva e ben caratterizzata dallo sguardo irrequieto e da certi tic nervosi – correre disinvolta sulla neve o arrampicarsi con scioltezza senza mai un attimo di esitazione: in altre parole, come il personaggio senza peso di un videogioco qualunque. Analogamente, ho provato quasi da subito una certa insofferenza per la telecamera piazzata canonicamente alle sue spalle, che qui molto più che altrove mi ha ricordato tutti i limiti prospettici che si porta dietro.

L'incontro con il fuggitivo Ilya permette a Indika di uscire dalla sua solitudine ma mette anche profondamente in crisi il suo già precario equilibrio emotivo.

D'altra parte, Dmitry Svetlow, direttore creativo e cofondatore di Odd Meter, si è formato come architetto a Mosca, ed è difficile non vedere quasi un disvelamento di intenti nella scelta di inserire nel gioco diversi momenti, apparentemente insignificanti, in cui è possibile sedersi solo per ammirare il panorama sfruttando una selezione di inquadrature decisamente più interessanti.

Il peso (e il prezzo) dell'attualità

Per quanto resti sempre un'esperienza insolita calarsi nei panni di un esponente del clero, Indika non è comunque la prima suora a fare la propria comparsa in un videogioco, così come esistono già diverse opere affini che hanno provato a indagare il nostro rapporto con la fede e l'influenza delle istituzioni ecclesiastiche sulla società. Eppure, forse è la prima volta che il discorso appare così ben calato nell'attualità, e sicuramente una parte della ragione risiede nel fatto che il team di sviluppo del gioco abbia dovuto lasciare la Russia per rifugiarsi in Kazakistan agli albori del conflitto con l'Ucraina per sfuggire alla coscrizione obbligatoria.

Svetlow ha più volte dichiarato che il suo lavoro rappresenta, tra le altre cose, una critica agli alti esponenti della Chiesa ortodossa Russa, vicini al governo di Putin fin da tempi non sospetti e oggi più che mai disposti a corroborarne la propaganda. Ma non c'è neanche bisogno di scomodare la politica internazionale per trovare in Indika qualcosa che ci riguarda un po' tutti ancora più da vicino, a patto di riconoscere che nel disincanto del postmodernismo abbiamo cercato rifugio e siamo caduti vittime di altri tipi di narrazioni e gratificazioni, che si sono insinuate nei vuoti ideologici lasciati dalla religione e dalla politica. Dall'ossessione per le metriche dei social alla tendenza inquietante a identificarci coi brand di certi prodotti di consumo (e noi videogiocatori siamo in prima linea con i nostri "nintendari", "sonari", "boxari"…), Indika parla di noi e del nostro rapporto problematico con il presente, degli standard volutamente irraggiungibili che la società ci impone e dell'inevitabile senso di inadeguatezza e alienazione che ne deriva.

Dietro ogni angolo si nasconde una citazione. Da Tarkóvskij (qui richiamato nell'immagine) a Dostoevskij, passando per altri illustri esponenti dell'arte e della letteratura russa.

Non a caso, l'evoluzione del percorso spirituale della protagonista passa attraverso l'accumulo, al limite della cleptomania, di oggetti sacri che valgono punti da impiegare in un albero (privo) delle abilità che si snoda lungo un tracciato emotivo costellato di vergogna, senso di colpa e pentimento. Il fine ultimo non è che il mero accrescimento numerico, in un vacuo sfoggio di rettitudine che nel finale assume letteralmente i connotati di una pratica onanistica. Anche l'ipocrisia, d'altro canto, è un tema ricorrente: Indika non è osteggiata dalle sue compagne per il fatto che i suoi peccati siano più gravi o più numerosi, ma solo perché, contrariamente a tutti gli altri, non è così brava a nasconderli. È emblematico, in questo senso, imbattersi lungo il viaggio nella bottega di un artigiano che ritrae le sue effigi sacre senza gli occhi, affinché non vedano gli atti impuri che si consumano nel suo letto.

Verso la fine, poi, si affacciano paralleli arditi ma sensati tra religione e politica: un cero votivo da accendere al ritratto di Karl Marx; i discorsi sulla giustizia e sul libero arbitrio intrattenuti con un galeotto appena evaso di prigione; il passaggio attraverso una gargantuesca fabbrica di caviale (l'oro nero, emblema sociale dei bei tempi andati); la fugace apparizione di una suora che fischietta la Danza dei Cavalieri di Romeo e Giulietta (l'opera più rappresentativa di Prokof'ev, ma anche quella per cui il regime sovietico esercitò pressioni tentando di imporgli una chiave di lettura antizarista).

Verdetto

Ho davvero apprezzato Indika, anche se a volte ho avuto l'impressione che avrei potuto amarlo ancora di più, ma solo perché alcuni limiti pratici di realizzazione sembrano avere in parte ridimensionato le ambizioni degli sviluppatori. Resta comunque un'opera ricca di spunti e di idee profondamente ispirate, che attinge all'arte e alla letteratura russa rielaborandone alcuni dei temi ricorrenti in chiave contemporanea e inserendoli in una cornice che funziona particolarmente bene in un videogioco. Così facendo, riesce a mettere a fuoco con acuta precisione alcune aberrazioni della nostra società, invitandoci a sollevare il velo e a guardarci allo specchio.

In questo articolo

Indika

Odd Meter | 02 Maggio 2024
  • Piattaforma

Indika - La recensione

8
Buono
Un gioco dalla forte personalità che forse poteva osare di più, ma che riesce a integrare l'aspetto narrativo con quello ludico in maniera efficace, spesso brillante.
Indika