”Avevo bevuto dalla coppa fino all’ultima goccia. Avevo vissuto la mia vita. Oh, se avessi avuto il dono di dipingere la vita che avevo vissuto!”
Parto”Avevo bevuto dalla coppa fino all’ultima goccia. Avevo vissuto la mia vita. Oh, se avessi avuto il dono di dipingere la vita che avevo vissuto!”
Parto dall’ultima riga di questa meravigliosa autobiografia per riavvolgere il nastro di un racconto denso. Pagine fitte in cui Emma Goldman, stigmatizzata come la «la donna più pericolosa d’America», ha raccontato undici anni di una vita che travalica ogni immaginazione e che un ignaro lettore potrebbe credere fantasiosa se non fosse riportata anche dai libri di Storia.
Gli anni di cui stiamo parlando –come anticipa il titolo del volume- vanno dal 1917 al 1928 e sono principalmente incentrati sulla Rivoluzione Sovietica. E.G. (chiamata così dagli stessi amici e compagni di lotta) si trovava in America quando scoppiò una crudele e diffamatoria campagna contro il nascente governo bolscevico. Per quanto anarchica e dunque avversa ad ogni forma di autorità centralizzata, E.G. si oppone a questo clima carico di odio e violenza.
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Lo fa attraverso le pagine autoprodotte del “Mother Earth Bulletin” ma anche attraversando il paese e tenendo numerose conferenze che vertevano su molte iniziative temi scottanti in quei giorni: l’incostituzionalità della coscrizione obbligatoria, la sessualità repressa e soprattutto la strenua battaglia contro la legge antispionaggio che stava riempiendo le carceri dove finì (non per la prima volta) anche lei.
Arrestata assieme al compagno Alexander Berkman -che lei chiama Sasha- fino alla definitiva espulsione dal territorio americano.
Pur non opponendosi alle critiche dei compagni anarchici contro i bolscevichi, i due, decidono di andare a toccare con mano la Rivoluzione che storicamente stava travalicando la portata di quella Francese e che potenzialmente poteva veramente essere il trampolino di grandi cambiamenti.
Le pagine dedicate agli anni di questa esperienza sono non solo le più numerose ma le più importanti porprio come testimonianza storica di ciò che agli occhi occidentali era nascosto. E.G. e Berkman cercano in tutti i modi essere operativi ma l’evidenza dello stato di terrore e violenza è sempre più plateale fino all’eccidio di Kronstadt che suggella ogni possibile speranza.
Gli anni descritti in questo volume non sono solo anni di maturità anagrafica (dai 48 ai 59 anni) ma anche di una visione politica che si fa più concreta.
Un racconto appassionante perché la passione per cui Emma Goldman ha vissuto traspare da queste pagine in tutto il suo amore per la giustizia e la libertà umana al di là di effimeri discorsi ideologici. E’ la purezza politica quando si svincola dagli interessi di partito perché l’unica attenzione è quella data al benessere di tutti.
Goldman e Berkman resistono 21 mesi prima di dichiarare, anche a se stessi, il fallimento di un sogno. Da allora inizia un girovagare per l’Europa e in Canada con il forte bisogno di far sapere al mondo cosa sta succedendo anche a costo di essere strumentalizzati dagli opportunisti reazionari.
Si può definire “romanzo di formazione” una graphic novel a carattere storico ed autobiografico? Direi di sì, perché per quanto coadiuvata dalle immagiSi può definire “romanzo di formazione” una graphic novel a carattere storico ed autobiografico? Direi di sì, perché per quanto coadiuvata dalle immagini, la storia che qui si racconta è proprio quella di una crescita, un’evoluzione che dall’infanzia all’età adulta porta l’autrice Marjane Satrapi a definire la propria personalità. Un traguardo non facile da raggiungere e costellato da molteplici ostacoli.
A 23 anni dalla prima pubblicazione, “Persepolis” assolve, essenzialmente, un doppio compito: quello di far luce sulla storia iraniana e quello di enfatizzare la questione femminile in un contesto di regime islamico. Non a caso, il titolo in originale è proprio: “Persepolis. Histoire d'une femme insoumise”, ossia « Persepolis. Storia di una donna ribelle ».
Trentanove capitoli tematici suddivisi in quattro parti, questa la versione integrale dell’opera. Le prime due parti raccontano di una bambina che assiste ai cambiamenti epocali della sua terra. La rivoluzione che si credeva liberale e caccia l’ultimo scià si trasforma ben presto in quel regime islamico che ancora oggi è sedimentato in terra iraniana.
Marjane cresce in una famiglia progressista e conosce ben presto la sorte dei detenuti politici come suo zio materno o lo stesso nonno. Il suo senso critico è stimolato dai genitori e questo spesso la metterà nei guai.
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Si parte da un foulard che all’improvviso deve coprire e nascondere. E’ il 1980, lei ha dieci anni e a scuola il foulard è d’obbligo. Fino all’anno prima frequenta una scuola francese e laica che il nuovo regime chiude. All’improvviso si ritrova velata e separata dai compagni maschi. Mentre sua madre scende in piazza a protestare, Marjane assiste confusa alla graduale ma imperterrita radicalizzazione islamica.
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Nella terza parte vediamo Marjane che, a soli 14 anni, si troverà da sola a Vienna. Una decisione non facile da parte dei genitori che vogliono per lei un’istruzione adeguata che in Iran non è più possibile. Ma cosa significa integrarsi soprattutto per una rgazzina ancora in cerca di una propria definizione?
La quarta parte è, invece quella del ritorno dove descrive benissimo il forte impatto psicologico dopo quattro anni di assenza..
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Un’opera meravigliosa che la Satrapi ha elaborato con disegni in sé molto semplici e la scelta di un bianco e nero che non permette distrazioni dal testo.
Questa è una storia di identità e corpi che vengono repressi e manipolati. E’ la storia di una donna che ha toccato il fondo ma con forza e coraggio ha saputo riemergere.
” Solo quando si è in difficoltà, si realizza quanto il mondo pecchi in comprensione e rispetto"
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Non certo la prima donna che, non per vezzo” Solo quando si è in difficoltà, si realizza quanto il mondo pecchi in comprensione e rispetto"
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Non certo la prima donna che, non per vezzo ma per vera necessità, dovette cambiare il suo nome. Travestirsi da uomo almeno nell’appellativo; giusto per non essere scartata subito, relegata tra le mura domestiche dove ogni donna dovrebbe stare.
Elizabeth Jane Cochran, questo il vero nome di una vera e propria pioniera (sostantivo che – guarda un po’- non esiste al femminile) nel mondo del giornalismo investigativo.
Una vita appassionate ed appassionata.
“Ten Days in a Mad-House” (1887) è il resoconto dell’esperienza diretta che fece infiltrandosi a Blackwell’s Island, un ospedale psichiatrico nello stato di New York. Sorprende parecchio il fatto che la Bly non fatica per nulla a farsi passare per una malata mentale.
Qualche discorso connesso ed uno sguardo vagamente vacuo: questi gli unici trucchi che sfoggia. Il resto lo fanno i dottori avvezzi a giudicare con facilità le donne chiamando follia la loro sensibilità. Dieci giorni di fame, freddo e violenze da parte del personale infermieristico.
L’inchiesta pubblicata sul «New York World» fece grande scalpore tanto da spingere Il Grande Giurì a fare un’accurata inchiesta.
Il giornalismo della Bly fu sempre un atto di denuncia non fine a se stesso ma volto concretamente a sanare le ferite sociali che affliggiono i più deboli. Se poi ci mettiamo anche il fatto che fece il giro del mondo in 72 giorni ma c’è bisogno di dire altro?
Che donna!!!
”Vorrei che quegli esperti psicologi che mi hanno condannata per il mio operato – smascherando, tra l’altro, la loro presunta capacità di riconoscere una persona malata di mente – prendessero una donna perfettamente in salute e sana di mente, le ordinassero continuamente di starsene in silenzio, costringendola a rimanere seduta dalle 6 del mattino alle 8 del pomeriggio su rigide panche di legno, senza potersi muovere durante tutte queste ore, senza niente da leggere, senza farle sapere niente di cosa sta accadendo nel resto mondo, le servissero cibo putrido e avariato, la trattassero in modo duro e valutassero, infine, in quanto tempo tutto ciò la condurrebbe alla follia. Con tutta probabilità due mesi sono più che sufficienti a provocare in chiunque un vero e proprio esaurimento fisico e mentale.” ...more
Basta, ho deciso che terrò questo libro come una bibbia sul comodino. Dieci sezioni tematiche, arbitrarie ovviamente come sempre e sempre sarà il legge Basta, ho deciso che terrò questo libro come una bibbia sul comodino. Dieci sezioni tematiche, arbitrarie ovviamente come sempre e sempre sarà il leggere. Io veramente sono contraria a chi suppone di essere in grado di giudicare una lettura oggettivamente, come fosse un calcolo matematico da cui non si sfugge.
Evviva il proprio punto di vista e le proprie idee.
Dorfles, dunque suddivide una schiera di opere classiche in dieci argomenti; insomma, una sorta di catalogazione.
"Nelle pagine che seguono ho aggregato per grandi temi, arbitrari, forse inopportuni, e lungi dall’essere esaustivi, alcune opere classiche, più o meno popolari. (...) Solo una ricognizione, personale, per alcuni pochi, grandi temi tra quelli che mi sono parsi i più adatti a spiegare perché il lavoro del lettore è il più bello che esista."
Come un lavoro sì. Perchè è solo leggendo e rileggendo, analizzando, riflettendo che si esercita quell'arte del leggere che tutti credono di essere in grado di compiere.
Ecco le sezioni e sotto spoiler (ma solo per non fare un lungo elenco) i libri di cui parla fornendoci la sua interpretazione.
1)L’INETTO (view spoiler)[ITALO SVEVO, Una vita (1892) GUSTAVE FLAUBERT, Bouvard e Pécuchet (1881) SILVIO D’ARZO, Casa d’altri (1953) FËDOR MICHAJLOVIČ DOSTOEVSKIJ, L’idiota (1869) ENNIO FLAIANO, Tempo di uccidere (1947) HONORÉ DE BALZAC, Il curato di Tours (1832) GRAHAM GREENE, Il nostro agente all’Avana (1958) MIGUEL DE CERVANTES, Don Chisciotte della Mancia (1605-1615) (hide spoiler)] 2)ISOLE E FORMICAI (view spoiler)[DANIEL DEFOE, La vita e le strane e sorprendenti avventure di Robinson Crusoe (1719) WILLIAM SHAKESPEARE, La tempesta (1610) ROBERT LOUIS STEVENSON, Gli allegri compari (1887) JULES VERNE, L’isola misteriosa (1875) AGATHA CHRISTIE, Dieci piccoli indiani (1939) HERBERT GEORGE WELLS, L’isola del dottor Moreau (1897) SALVATORE SATTA, Il giorno del giudizio (1977) MICHEL TOURNIER, Venerdì o il limbo del Pacifico (1967) (hide spoiler)] 3)LE ZIETTE: L’ALTRA PARTE DELLA FAMIGLIA (view spoiler)[JANE AUSTEN, Mansfield Park (1814) PATRICK DENNIS, Intorno al mondo con zia Mame (1958) THOMAS BERNHARD, I miei premi (2009) GRAHAM GREENE, In viaggio con la zia (1969) ALDO PALAZZESCHI, Le sorelle Materassi (1934) GEORGES SIMENON, La fattoria del Coup de Vague (1938) MARIO VARGAS LLOSA, La zia Julia e lo scribacchino (1977) JAMES JOYCE, Gente di Dublino (1914) (hide spoiler)] 4)LA DOLCE GUERRA (view spoiler)[EMILIO LUSSU, Un anno sull’altipiano (1938) ANDRÉ MALRAUX, La speranza (1937) MARIO RIGONI STERN, Il sergente nella neve (1953) NORMAN MAILER, Il nudo e il morto (1948) BEPPE FENOGLIO, Una questione privata (1963) KURT VONNEGUT, Mattatoio n. 5 (1969) RENATA VIGANÒ, L’Agnese va a morire (1949) ITALO CALVINO, Il cavaliere inesistente (1959) (hide spoiler)] 5)MIELESTRAZIO (view spoiler)[THOMAS MANN, Sua altezza reale (1909) ANTOINE DE SAINT-EXUPÉRY, Il piccolo principe (1943) ERNEST HEMINGWAY, Il vecchio e il mare (1952) LOUISA MAY ALCOTT, Piccole donne (1868-1869) HERMANN HESSE, Narciso e Boccadoro (1930) CHRISTOPHER MORLEY, Il Parnaso ambulante (1917) HECTOR MALOT, Senza famiglia (1878) ELSA MORANTE, La storia (1974) (hide spoiler)] 6)CAMMINARE, PENSARE, SCRIVERE (view spoiler)[GEORG WILHELM FRIEDRICH HEGEL, Viaggio nelle Alpi bernesi (1796) FRANÇOIS-RENÉ DE CHATEAUBRIAND, Viaggio sul Monte ianco (1806) PATRICK LEIGH FERMOR, Fra i boschi e l’acqua. A piedi fino a Costantinopoli (1986) RENÉ DAUMAL, Il Monte Analogo (1952) ROBERT WALSER, La passeggiata (1919) JACK KEROUAC, Sulla strada (1951) W.G. SEBALD, Gli anelli di Saturno. Un pellegrinaggio in Inghilterra (1995) WALTER BENJAMIN, I “passages” di Parigi (1927-1940) (hide spoiler)] 7)INDAGO, QUINDI SONO (view spoiler)[EDGAR ALLAN POE, I racconti del mistero (1840) EMILIO DE MARCHI, Il cappello del prete (1888) RAYMOND CHANDLER, Il grande sonno (1939) PIERRE BOILEAU - THOMAS NARCEJAC, La donna che visse due volte (1954) LEONARDO SCIASCIA, A ciascuno il suo (1966) FRIEDRICH DÜRRENMATT, Il giudice e il suo boia (1952) FRUTTERO & LUCENTINI, La donna della domenica (1972) DASHIEL HAMMET, Il falcone maltese (1930) (hide spoiler)] 8)FAUSTUS E IL POVERO DIAVOLO (view spoiler)[CHRISTOPHER MARLOWE, La tragica storia del dottor Faustus (1588?) JACQUES CAZOTTE, Il diavolo innamorato (1772) JOHANN WOLFGANG VON GOETHE, Faust (1831) MICHAIL AFANAS’EVIČ BULGAKOV, Cuore di cane (1925) KLAUS MANN, Mephisto (1936) JOSÉ MARIA EÇA DE QUEIRÓS, Il mandarino (1880) THOMAS MANN, Doctor Faustus (1947) TIRSO DE MOLINA, Don Giovanni o l’ingannatore di Siviglia (1616) (hide spoiler)] 9)PROFEZIE DISTOPICHE (view spoiler)[JULES VERNE, Parigi nel XX secolo (1863) EMILIO SALGARI, Le meraviglie del duemila (1907) M.P. SHIEL, La nube purpurea (1901) EVGENIJ IVANOVIČ ZAMJATIN, Noi (1924) PHILIP K. DICK, La svastica sul sole (1962) STANISŁAW HERMAN LEM, Solaris (1961) ISAAC ASIMOV, Io, robot (1950) GUIDO MORSELLI, Roma senza papa (1974) ROBERT SHECKLEY, La decima vittima (1960) (hide spoiler)] 10)ODISSEO, O DEL NOSTRO ESSERE QUI
Per chi è sempre in cerca di consigli di lettura ed ama i classici ...more
Magnifiche, incredibili, fantastiche, straordinarie... quante pubblicazioni, in questi ultimi anni, narrano e incorniciano storie di donne che hanno laMagnifiche, incredibili, fantastiche, straordinarie... quante pubblicazioni, in questi ultimi anni, narrano e incorniciano storie di donne che hanno lasciato il segno nella storia? Direi parecchie.
Queste magnifiche donne raccontate dalla scrittrice abruzzese Daniela Musini (che è anche attrice, drammaturga e pianista) mi hanno sorpresa. Un'opera che, a mio avviso, fa la differenza per una narrazione profondamente coinvolgente. Ogni ritratto, infatti, non si limita ad inquadrare i dati biografici ma si cala nel personaggio, nell’ambiente e nell’epoca costruendo un racconto dettagliato ed intrigante.
Accanto alle donne più note (da Cleopatra alla Callas), alcune a me sconosciute, come la papessa Giovanna, Cecilia Gallerani (amante di Ludovico Sforza e modella del famoso quadro di Leonardo “La dama con l’ermellino), oppure quella che fu (forse) la prima laureata al mondo (1678), Elena Lucrezia Cornaro Piscopia.
Donne del popolo che diventano dive, donne nobili travolte dall’impeto dell’eros, donne d’intelletto che investono sul sapere e lasciano il segno (Maria Montessori, Matilde Serao, Sibilla Aleramo...). Aneddoti curiosi che mi hanno dato modo di vedere in altro modo alcuni personaggi.
Ad esempio, Grazia Deledda apparentemente molto algida, covava un temperamento fortemente passionale, tanto da essersi innamorata (prima del matrimonio) di un giornalista cagliaritano ed averlo perseguitato trasformandosi in una stalker antesignana.
Se dovessi trovare un laccio che leghi queste storie sicuramente è quello dell’anticonformismo e coraggio.
Consigliato.
Per chi fosse interessato, ecco l'indice: (view spoiler)[ 1. Cleopatra, La regina del Nilo (69-30 a.C.) 2. Messalina, La scandalosa “meretrix augusta” (25-48 d.C.) 3. La papessa Giovanna, La donna che tenne in scacco il papato (IX secolo) 4. Matilde di Canossa, La “magna comitissa” (1046-1115) 5. Eloisa, Un amore oltre la morte (?-1164) 6. Chiara D’Assisi, Il coraggio della santità (1193/1194-1253) 7. Cecilia Gallerani, La dama con l’ermellino (1473-1536) 8. Lucrezia Borgia, Angelo e demone (1480-1519) 9. Imperia, L’imperatrice delle cortigiane (1486-1512) 10. La Fornarina, L’amorosa musa del divino Raffaello (1500 ca.-1522 ca.) 11. Caterina de’ Medici, Madame serpente (1519-1589) 12. Marianna de Leyva, La vera storia della monaca di Monza (1575-1650) 13. Artemisia Gentileschi, La pittora (1593-1653) 14. Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, La prima laureata al mondo, forse (1646-1684) 15. Maria Carolina, Luci, ombre e scandali della regina di Napoli (1752-1814) 16. Paolina Bonaparte, La spudorata (1780-1825) 17. Anita Garibaldi, La figlia del vento (1821-1849) 18. Rosa Vercellana, Donna del popolo, donna del re (1833-1885) 19. La contessa di Castiglione, La Circe del Risorgimento (1837-1899) 20. Margherita di Savoia, La prima regina d’Italia (1851-1926) 21. Matilde Serao, L’indomita (1856-1927) 22. Eleonora Duse, Una donna, un’attrice, una leggenda (1858-1924) 23. Maria Montessori, L’amica geniale (dei bambini) (1870-1952) 24. Grazia Deledda, Il riscatto dell’intelletto (1871-1936) 25. Donna Franca Florio, La regina di Palermo (1873-1950) 26. Lina Cavalieri, La donna più bella del mondo (1875-1944) 27. Sibilla Aleramo, La mantide (1876-1960) 28. Luisa Spagnoli, Un bacio e successo fu (1877-1935) 29. Luisa Casati Stampa, La sulfurea marchesa (1881-1957) 30. Francesca Bertini, La diva imperiale (1892-1985) 31. Paola Borboni, La signorina terribile del teatro italiano (1900-1995) 32. Wanda Osiris, La più (con)turbante delle soubrette (1905-1994) 33. Maria Callas, La divina (1923-1977) (hide spoiler)]...more
Nella corposa bibliografia di Paul Auster, i cosiddetti memoir occupano un posto significativo.
Come ne L'invenzione della solitudine, anche qui lo scrittore decide di adottare la terza persona come voce narrante. Il suo è un evidente esercizio di distanziamento necessario a far affiorare i ricordi.
“Notizie dall’interno”, ultima opera (2013) di questo genere, è strutturato in tre parti.
La prima, e principale, intitolata “Due colpi alla testa”, è quella dove Auster fa un salto nel periodo dell’infanzia: dalle prime percezioni (che ovviamente può solo immaginare) agli scombussolamenti dell’adolescenza.
”...esplorare la tua mente cosí com’è nei tuoi ricordi d’infanzia sarà senz’altro un compito piú difficile – forse impossibile. Eppure ti senti in dovere di provarci. Non perché ti reputi un oggetto di studio prezioso o fuori dal comune, ma proprio per l’esatto contrario, perché ti consideri uno come tanti, uno come tutti.”
Le delusioni di un bambino quando vede non collimare i margini dell’immaginazione con quelli della realtà; la nascita della consapevolezza di sé e del senso di (in)giustizia; il bisogno di eroi... Poi le grandi passioni: innanzitutto la lettura che si accompagna ai primi tentativi di scrittura; poi la musica, il cinema (Auster racconta completamente alcuni film che lo avevano colpito!), lo sport. Poi ci sono le considerazioni sulla propria famiglia, sull’essere ebreo.
La seconda parte del libro (“Capsula del tempo”) è quasi fortuita, un corollario che lo scrittore aggiunge a libro terminato. Sono riflessioni che si riferiscono ad alcune lettere che Auster scrisse alla ex moglie (la scrittrice Lydia Davis) ai tempi del loro fidanzamento e che ritrova dopo tanti anni.
La terza parte intitolata “Album” è propriamente una sezione visiva dove con immagini di vario genere, Auster ripercorre i punti salienti del suo racconto autobiografico.
Una lettura che ho apprezzato molto e, così come per “L’invenzione della solitudine”, mi sento di consigliare solo a chi già conosce ed stima Paul Auster .
Già dal titolo – che scimmiotta una testata giornalistica- si deduce che il resoconto è solo apparentemente esteriore. Auster ci parla, in realtà, del suo sé interiore e per cogliere il discorso non si può essere digiuni della sua opera. Non si può entrare "dentro" se non si arriva da "fuori"...
”Ancor oggi tieni fede a quel paradosso, a quel tentativo di catturare la strana duplicità dell’essere vivi, l’inesorabile unione di dentro e fuori che accompagna ogni nostro battito del cuore dalla nascita alla morte”...more
Dalla bambina undicenne che- ignara di ciò che l’aspetta- è oggetto di trattative tra la monarchia asburgica e quella francese, alla donna umilmente aDalla bambina undicenne che- ignara di ciò che l’aspetta- è oggetto di trattative tra la monarchia asburgica e quella francese, alla donna umilmente abbigliata che mantiene lo sguardo fiero dirigendosi al patibolo.
L’ascesa e la caduta di Maria Antonietta raccontata da Stefan Zweig in questo libro, pubblicato nel 1932, è caratterizzata da una prosa travolgente. Documenti ufficiali, lettere private, diari: Zweig consulta tutto quello che all’epoca era disponibile e lo trasforma in una racconto che rende impossibile interrompere la lettura. Il ritratto di Maria Antonietta desume dai fatti la psicologia di una donna che si è comportata in modo evanescente e frivolo. Qui non si snocciolano numeri e dati. E', al contrario, una lettura che fa respirare le atmosfere e gli umori di due opposti eccessi storici: quello dei privilegi assurdi ed inutili della corte di Versailles, prima, e quello del Terrore giacobino, poi. Luigi XVI° l’eterno assente. La sera del 14 luglio, dopo la presa della Bastiglia ” annota nel diario questa tragica parola: "Niente", il che significa che, durante quella giornata, non vi è stata caccia, non è stato ucciso nessun cervo, dunque non è accaduto niente di importante.”
L’incapacità di vedere e comprendere gli evidenti segnali del malcontento e la completa mancanza di azione del re portano all’ineluttabile rovina dello stato monarchico.
E pensare che, solo qualche anno prima, Maria Antonietta:
” Scrive alla madre: "Quanto a onori abbiamo ricevuto tutti quelli che è stato possibile immaginare; comunque tutto ciò, pur importantissimo, non è quel che più mi ha commosso, bensì la tenerezza e il trasporto di quella povera gente che, nonostante le imposte da cui è oppressa, era inebriata dalla gioia di vederci. Quando siamo andati a passeggiare alle Tuileries, la folla era tanta che siamo rimasti per tre quarti d'ora senza riuscire né ad avanzare né a retrocedere... Abbiamo salutato il popolo con la mano, il che ha dato grande piacere. Alle persone del nostro stato è concesso un grande privilegio: ottenere l'amicizia di un popolo intero così a buon mercato! E non vi è del resto nulla di più prezioso: ora che l'ho conosciuto, non lo dimenticherò mai più". Se Maria Antonietta si commuove in fretta, altrettanto in fretta dimentica.”
Curiosità: fu proprio dopo la lettura di quest’opera che la fumettista giapponese Riyoko Ikeda ideò, negli anni ’70, la serie manga “Lady Oscar” poi cartone in Tv negli anni ’80....more
Come da sottotitolo “Nomadland” è un racconto d’inchiesta dove la giornalista Jessica Bruder non solo riporta la sua indagine ma si immerge completamente nel contesto preso in esame, ossia quella fetta (sempre più grande) di popolo americano che è tagliata fuori dal sistema produttivo e sociale. Un tema molto interessante che unito alla modalità stessa del racconto rende la lettura molto coinvolgente. Confesso di aver chiuso il libro con tante curiosità: Linda May sarà riuscita a realizzare il suo sogno? Gary l’ha raggiunta? E Silvianne?
Questo libro mi ha veramente appassionata. Tralasciando il contesto geografico, ci sono ambienti di cui ho esperienza diretta: il mondo del camperisti, la controcultura ma anche la difficoltà se non impossibilità di inserirsi in mondo lavorativo che considera gli over come scarti sociali al di là di ogni esperienza pregressa.
Ci sono due livelli su cui viaggia il mondo dei camperisti statunitensi: da un lato la scelta del nomadismo è l’unica soluzione per sopravvivere quando economicamente non si hanno più risorse ed è diventato impossibile pagarsi un affitto e le utenze; dall’altro, c’è un forte spirito di resilienza che rifiuta l’idea di essere considerato un “senza tetto” (con tutti gli stereotipi annessi a questo termine) ed abbraccia una filosofia di vita che si mette apertamente in conflitto con il sistema capitalistico.
Non partecipando allo stile di vita di massa si toglie il velo et voilà...ecco che il sogno americano appare per quello che è: un enorme bugia! Chi ama illudersi e farsi prendere in giro si accomodi pure ma chi si è tolto quel velo di polvere dagli occhi guardi pure questo mondo in modo diverso.
Questo fa nascere la cosiddetta subcultura o sottocultura, dove il sotto non sta a segnalare un’inferiorità ma la marginalità a cui è relegati a causa delle scelte politiche ed economiche di un paese; allo stesso modo si prende coscienza di qualcosa che va sempre più in conflitto con lo stile di vita considerato “normale” e si abbracciano quindi le tesi della controcultura. Entrambi sono processi graduali soprattutto per coloro in cui che prima credevano davvero che l’America offriva a tutti un lavoro ed una casa e che questa era la felicità.
E’ la fine di un contratto sociale ma anche la nascita di nuove forme di collettività che scoprono il valore della condivisione e danno origine a inusuali strutture famigliari che rivelano sull’altra faccia dell’economia.
Jessica Bruder ha fatto un ottimo lavoro. Non si è solo attenuta al lavoro giornalistico, e quindi d’indagine, ma si è anche completamente immersa in questa dimensione. Si è comprata un camper e per tre anni ha frequentato i luoghi di raduno, ha allacciato amicizie ed ha saputo andare al di là dei falsi stereotipi.
Non è da sottovalutare il fatto che questo –chiamiamolo- fenomeno riguardi in prevalenza persone bianche e la spiegazione è tanto semplice quanto amara:
”in America è già abbastanza difficile vivere da nomadi, indipendentemente dalla razza. Campeggiare abusivamente, specialmente nelle aree residenziali, è decisamente lontano dal mainstream. Spesso significa infrangere le ordinanze locali che vietano di dormire in auto. Evitare i guai - scocciature con poliziotti e passanti sospettosi - può rivelarsi complicato anche con la carta Esci-gratis-di-prigione del privilegio bianco. E in un’epoca in cui la polizia spara agli afroamericani disarmati durante i controlli stradali, vivere in un veicolo sembra una mossa particolarmente pericolosa per chiunque possa cadere vittima di una schedatura su base razziale.”
Poi c’è tutta la questione delle contraddizioni: per sopravvivere, infatti, questo popolo vagante si presta come forza lavoro proprio di quelle grandi multinazionali che rappresentano proprio l’apoteosi della schiavitù moderna. Il fatto determinate è che la maggior parte dei nomadi abbia più di sessant’anni quindi esclusa dal mainstream lavorativo ma ricercata con canali appositi da queste aziende che ne rivalutano il potenziale come popolo vagante da utilizzare stagionalmente e con cui si possono applicare le regole del gioco che piace a loro fuori da ogni controllo sindacale. Si può davvero puntare il dito contro questa palese incoerenza?
Personalmente, penso di essermi venduta per molto meno e lo dimostra il fatto che sono qui, con le mie idee, il mio stile di vita che sempre stato e sarà non sempre in linea con le scelte di massa eppure il mio bisogno di parlare di libri mi ha condotto su questa piattaforma così totalmente opposta a tutto ciò che penso e abitualmente pratico.
Sì. Questa lettura mi ha mandato un po’ in crisi. Mi sono vergognata di me stessa leggendo le storie di queste donne e questi uomini alle prese con questi lavori fisicamente estenuanti. E poi, sinceramente, ripeto, mi sono vergognata di essere qui facendo finta di essere io quella che sta solo utilizzando una piattaforma...
”Nel divario sempre più ampio tra crediti e debiti, persiste una domanda: A quali aspetti della tua vita sei disposto a rinunciare, pur di continuare a tirare avanti?”...more
Se dico “orfano” c’è un’alta probabilità che l’immagine più immediata sia quella di un bimbetto triste che ti guarda con oFigli del cuculo
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Se dico “orfano” c’è un’alta probabilità che l’immagine più immediata sia quella di un bimbetto triste che ti guarda con occhioni imploranti. Gli orfani di cui ci parla Luciano Mecacci si riferiscono a bande di vagabondi che, soprattutto nel decennio tra il 1920 ed il 1930, imperversarono nella Russia Sovietica.
Sono i “besprizornye” letteralmente “senza [bez] controllo/sorveglianza /tutela [prizor]”. In italiano si traduce con “orfani, vagabondi” ma in realtà è un fenomeno che raduna un’infanzia che non sempre vede la mancanza reale dei genitori. Spesso, infatti, si tratta di bambini e bambine (generalmente tra i 7 e i 16 anni ma anche più piccoli) sia orfani sia abbandonati a causa delle carestie, della guerra mondiale e civile e in seguito anche i figli dei cosiddetti «nemici del popolo» rimasti soli dopo l’incarcerazione o le sentenze di morte di genitori e parenti.
Ricoperti di stracci, martoriati dai pidocchi, dilaniati dal freddo e dalla fame. Si uniscono spontaneamente in bande mettendo in comune l’istinto di sopravvivenza e un profondo senso di rancore verso una società che prima li ha abbandonati e poi li disprezza e li teme. Con il solito modus operandi sovietico, il problema sociale è affrontato in modi diversi seguendo l’onda politica del momento. Se inizialmente si istituiscono gruppi di lavoro pedagogici che studiano la questione e mirano alla rieducazione, negli anni ’30 sull'onda delle terribili purghe politiche, s’inizia a nascondere la polvere sotto il tappeto. Il diktat inviolabile è: vietato parlare di tutto ciò possa dare un’immagine violenta e misera della Russia sovietica. Un argomento che rimase tabù fino agli anni ’60. Nel 1935 si abbassa a dodici anni l’età per perseguirli penalmente per poi arrivare ad un decreto che annunciava falsamente la fine del fenomeno.
Mecacci, affermato psicologo che si è occupato di storia della psicologia e, particolar modo, di quella sovietica, attraverso testimonianze, documenti storici ma anche romanzi e film delinea questo fenomeno storico da un punto di vista diverso. Una prospettiva che cerca di rendere conto dei pensieri, dei linguaggi di questa miriade di bambini (nel 1922 ne furono censiti 7 milioni!!!) che hanno attraversato il territorio russo.
Il libro è strutturato in sette parti principali corrispondenti a sette azioni caratteristiche dei “besprizornye”: fuggire, mendicare, uccidere, rubare, drogarsi, prostituirsi, tormentare.
Libro molto interessante in cui, oltretutto, ho scoperto le ragioni del detto «i comunisti mangiano i bambini»...
"Nel romanzo Nel vicolo Protocny scritto da Il’ja Erenburg tra il settembre e il novembre 1926, i besprizornye sono chiamati «figli di nessuno» o, più incisivamente, «figli del cuculo» – abbandonati dai genitori presso un altro ‘nido’ nella speranza che qualcuno li accudisca, come fa il cuculo quando depone le uova. "...more
Cinque protagonisti in quest’opera in cui il cinquantottenne John Steinbeck raccontò il viaggio intrapreso attraverso gli Stati Uniti d’America nel 19Cinque protagonisti in quest’opera in cui il cinquantottenne John Steinbeck raccontò il viaggio intrapreso attraverso gli Stati Uniti d’America nel 1960.
1) John Steinbeck (1902/1968) stesso; in primo piano i suoi occhi che osservano le nazioni di questo continente dove è forte la compresenza di diversità ed unità culturale;
2) il mezzo con cui ha viaggiato...eccolo... [image] Il suo nome è Ronzinante; una macchina “camperizzata”; una casa mobile completa di cucina e accessori.
3)Il terzo protagonista è così descritto:
«...portai un solo compagno nel mio viaggio, un vecchio barboncino francese chiamato Charley. In realtà il suo nome è Charles le Chien, nato a Bercy, nei sobborghi di Parigi e cresciuto in Francia»
[image].
4) C'è poi lo spazio attraversato e la sua gente. L'America con i suoi paesaggi ed suoi abitanti. Strade asfaltate e non, distese pianeggianti, colline, montagne, ruscelli, fiumi, laghi, coste marine, cittadine, villaggi, metropoli. Ogni luogo con leggi particolari soprattutto in materia di codice della strada ma all'entrata di ogni stato tutti sono d’accordo nel declamare, a grandi lettere, il proprio territorio come il più bello.
Il progresso, i cambiamenti sociali, il telefono, la televisione...queste ed altre strade portano i cambiamenti che omologano e rendono sempre più Uniti questi Stati
5) Ma parlano di cinque protagonisti: e il quinto chi è? Ma il viaggio stesso naturalmente!
” Una volta che il viaggio sia programmato, attrezzato e avviato, subentra un fattore nuovo, e predomina. Un viaggio, un safari, un'esplorazione, è un'entità, diversa da ogni altro viaggio. Ha personalità, temperamento, individualità, unicità. Un viaggio è una persona a sé; non ce ne sono due simili. E sono inutili progetti, garanzie, controlli, coercizioni. Dopo anni di lotta scopriamo che non siamo noi a fare il viaggio; è il viaggio che «fa» noi. Guide, orari, prenotazioni, inevitabili e rigidi, vanno diritti a naufragare contro la personalità del viaggio. “
Nel 1960, John Steinbeck è uno scrittore affermato (il Nobel arriverà due anni dopo) ma il bisogno di conoscenza è ancora forte. L’esperienza del viaggio non è solo osservazione del paesaggio ma soprattutto l’incontro con L’Altro che spesso Steinbeck provoca invitando su Ronzinante le persone che lo incuriosiscono di più per un bicchiere di whiskey ed una chiacchierata. Una miriade di riflessioni e di emozioni.
Una fra tutte e la testimonianza dell'odio razziale scoppiato a New Orleans. Proprio nei giorni in cui lo scrittore era in zona scoppio il caso delle , donne qualunque che si trasformano in bestie gridando di tutto ad una bambina di sei anni che entrava a scuola. Perchè? Perchè lei era una bambina nera...
[image] Ruby Bridges, 6 anni
”Sarebbe piacevole poter dire, dei miei viaggi con Charley, «andai a cercare la verità del mio paese e la trovai». E poi sarebbe semplice esporre i miei ritrovamenti e mettermi a sedere, comodo, con la sensazione di avere scoperto verità e di averle insegnate ai miei lettori. Magari fosse così facile. Invece, quello che portavo in testa e, più a fondo, nelle mie percezioni, era un barile di lombrichi. Molti anni or sono, raccogliendo e classificando animali marini, scoprii che quanto trovavo aveva un legame assai stretto con quello che provavo al momento. Dopo tutto, la realtà esterna ha un modo di essere non tanto esterno. Questo mostro di terra, questa possente nazione, questa spora del futuro, si rivela per un macrocosmo di quel microcosmo che sono io. “...more
Gennaio 1945. L’assurda e disperata ritirata nazista di fronte all’arrivo dell’Armata Rossa, svuota Auschwitz. I malati vengono abGuerra è sempre
Gennaio 1945. L’assurda e disperata ritirata nazista di fronte all’arrivo dell’Armata Rossa, svuota Auschwitz. I malati vengono abbandonati al loro destino e Primo Levi è tra loro. E’ il 27 gennaio (quello che oggi celebriamo come giorno della Memoria) quando arrivano le prime pattuglie russe.
[image]
Incomincia un racconto vorticoso che partendo dall’infermeria del Lager di Buna-Monowitz e poi al campo grande di Auschwitz attraversa un Europa devastata da una guerra che ancora non si è fermata. Levi racconta minuziosamente luoghi e persone in una faticosa presa di coscienza di essere scampati alle atrocità del lager ma ci sono incubi da cui è impossibile fuggire:
... nulla mai più sarebbe potuto avvenire di cosí buono e puro da cancellare il nostro passato, e che i segni dell’offesa sarebbero rimasti in noi per sempre, e nei ricordi di chi vi ha assistito, e nei luoghi ove avvenne, e nei racconti che ne avremmo fatti.”
Alla fame costante di cibo si aggiunge quella dei rapporti umani negati ed ora così spontanei. Una girandola di voci e di storie attraverso l’Europa orientale con l’obiettivo di tornare a casa.
“La tregua” segue il racconto di “Se questo è un uomo” ed anche qui in esergo una poesia parla di un incubo che non abbandona e non può essere abbandonato.
"Sognavamo nelle notti feroci Sogni densi e violenti Sognati con anima e corpo: Tornare; mangiare; raccontare. Finché suonava breve sommesso Il comando dell’alba: «Wstawać».; E si spezzava in petto il cuore. Ora abbiamo ritrovato la casa, Il nostro ventre è sazio, Abbiamo finito di raccontare. È tempo. Presto udremo ancora Il comando straniero: «Wstawać».
(11 gennaio 1946.)
La tregua è illusione. La guerra è sempre
NB- Non metto stelline a memorie ed autobiografie. --------------------------------------------------
Rilettura Aprile 2022
...poiché non è dato all’uomo di godere gioie incontaminate.
Un viaggio come reale sospensione delle convenzionali misure di tempo e spazio. M’immagino quest’Europa ferita, brulicante di donne e uomini vestiti di stracci. Ognuno con il suo pesante bagaglio di dolori: valigie che alcuni non riescono a chiudere, altri serreranno per anni, forse per sempre. Donne e uomini che per motivi diversi (a volte opposti) si spostano e si incrociano su sentieri determinati dal caos. Ognuno teso a ricollocarsi nel proprio spazio con l’ansia timorosa di scoprire che il ricordo non coincide più con il reale. Sono pagine scritte con sorriso per la gioia di una nuova e insperata libertà. Sono ricordi di una grande fame di incontri e relazioni con l’Altro dopo due anni di paralisi. Un viaggio che è ”una piccola odissea ferroviaria entro la nostra maggiore odissea”. Una grande opera storica, letteraria, umana.
Opera di memorie in cui London ci racconta l’incontro-scontro con un perfido personaggio: John Barleycorn. Questo è il nome di un vizio che diventa perOpera di memorie in cui London ci racconta l’incontro-scontro con un perfido personaggio: John Barleycorn. Questo è il nome di un vizio che diventa persona perché tale è la sua potenza di coinvolgere e travolgere da riuscire ad incarnarsi.
Su queste memorie ho commentato qui .......................
Per curiosità ho fatto una lettura in parallelo di questa traduzione del 1970 di Luciano Bianciardi con quella più recente di Alberto B. Levorato. Non entro nel merito di un giudizio specifico sull'argomento traduzione (non ne sono in grado) ma se, ovviamente, la versione di Bianciardi soffre di alcune terminologie più “antiquate” e ha dei passaggi farraginosi è comunque una lettura ancora “fattibile”.
Riporto solo un esempio delle due versioni dell’incipit.
Bianciardi - ” Mi successe tutto un giorno di elezioni. Era un caldo pomeriggio californiano, e a cavallo io avevo traversato la Valle della Luna per andare dalla fattoria al piccolo villaggio a votare Sì oppure No a un sacco di emendamenti proposti alla Costituzione della California. Data la calura della giornata, mi feci diverse bevute prima di dare il mio voto e diverse altre dopo aver votato. Poi, sempre a cavallo avevo ripreso la mia strada attraverso i vigneti e i pascoli della fattoria arrivando a casa giusto in tempo per bere ancora e cenare. «Come hai votato sull'emendamento al suffragio?» chiese Charmian. «Ho votato a favore». Fece un'esclamazione di sorpresa. Infatti, sia ben noto, ai miei verdi anni, nonostante la mia fervida democrazia, mi ero opposto al voto alle donne. Quando gli anni mi crebbero e si fecero più tolleranti, la mia accettazione ebbe meno entusiasmo, come dinanzi a un fenomeno sociale inevitabile.”
Levorato - “Tutta questa faccenda risale a un giorno, diciamo, “elettorale”. In un caldissimo pomeriggio californiano ero sceso a cavallo nella Valle della Luna dalla mia fattoria, per votare una serie di riforme per cambiare la costituzione dello Stato della California. Faceva talmente caldo che avevo bevuto parecchi bicchieri prima di deporre la mia scheda nell’urna, e parecchi altri subito dopo. Poi avevo attraversato, a cavallo, le colline coperte di vigne e le praterie del ranch. A colazione ero di ritorno. - Come hai votato a proposito del voto alle donne? - mi chiese mia moglie Charmian. - Ho votato favorevolmente -. Le sfuggì un’esclamazione di sorpresa. Devo dire che in gioventù, malgrado la mia ardente fede democratica, mi ero dichiarato contrario al voto per le donne. Qualche anno dopo, diventato più tollerante, lo avevo accettato ma senza entusiasmo, quasi come un fenomeno sociale inevitabile.”
Di altro tono (e direi spessore) è la riflessione che faccio su Bianciardi Uomo e sul fatto che quest’opera rientra nella sua ultima tornata di traduzioni. Bianciardi, infatti, morì l'anno dopo: aveva solo 49 anni e la causa fu proprio la grave dipendenza dall'alcool. Non ho potuto fare a meno di pensare cosa sia stato per lui fare la traduzione di un testo che sviscera e stana questo viscido serpente di nome John Barleycorn... ----
” “Luciano non riusciva più a lavorare, stava a guardare fisso la macchina per scrivere. Poi si buttava sul letto a dormire. Quando riapriva gli occhi, prendeva la bottiglia e ricominciava. All’una di ogni giorno tornavo di corsa dal giornale, ripescavo Luciano dai bar sotto casa, lo portavo su e cercavo di farlo mangiare. (…) Raccontava Domenico Porzio: “In casa editrice mi dissero che Luciano era andato fuori di testa. Mi chiamarono per farmi vedere una traduzione che aveva appena consegnato. Certe parti non corrispondevano per niente al testo inglese. Dio mio! Da una riga all’altra cominciavano pezzi deliranti, incubi... Non ci volevo credere. Presi a confrontare le pagine. Era vero! Luciano, anziché tradurre, inventava”. ------------ “Vita agra di un anarchico” – Pino Corrias...more
“Non dimenticate: se c’è qualcosa di pericoloso nella Storia, su questo globo, su questa Terra, è il nostro stesso sangue.”
Dopo ben settantaquattr “Non dimenticate: se c’è qualcosa di pericoloso nella Storia, su questo globo, su questa Terra, è il nostro stesso sangue.”
Dopo ben settantaquattro anni ci si chiede ancora come sia stato possibile che il nazismo prendesse piede in modo così ampio. Il tempo non ha sedato l’incredulità di fronte ad una società così consenziente e in gran parte consapevole di ciò che stava succedendo. Da qui l’accatastarsi di ricerche storiografiche di diverso spessore, ognuna delle quali ha cercato di fotografare da angoli diversi quella che è comunemente denominata come l’apoteosi di ogni espressione del male da parte del genere umano. Così emblematica da accentrare su di sé ogni primato di malvagità.
Lo storico Johann Chapoutot, docente alla Sorbona, dimostra in questo libro come la nascita del pensiero nazista non abbia in sé molta originalità ma sia frutto di una somma di pensieri reazionari accumulati negli anni: eugenetica, razzismo, nazionalismo, antisemitismo autarchia….tutte filosofie proprie del mondo occidentale che spesso affondano le loro radici tra il XXVIII° ed il XIX° secolo nelle politiche coloniali.
Il lavoro intrapreso da Chapoutot nasce da un turbamento che nel caso del semplice cittadino rimane una domanda sospesa mentre nel caso dello storico è una traccia che indica un sentiero di ricerca. Quel qualcosa che sbalordisce è l’insieme dei nicht schuldig («non colpevole») che riecheggia nelle aule allestite a Norimberga nell’immediato dopoguerra. Una negazione che è quasi sempre il riflesso di una reale sicurezza da parte dei nazisti di aver agito nel giusto. L’etichetta di “follia” con cui si possono indicare gli anni nazisti non soddisfa, non è sufficiente per comprendere come si sia sedimentato il pensiero nazista irradiandosi in ogni piano piramidale e quindi facendo un percorso da discorso politico con la sua retorica a vero e propria filosofia che si traduce in comportamenti ed azioni quotidiane.
Una mole spaventosa di lavoro (anche la lettura, anche se assolutamente fattibile, non è scorrevolissima) che si basa sull’analisi di: discorsi pubblici, lettere, diari ma anche film, libri, volantini (in particolar modo quelli distribuiti alle SS o all’esercito), vademecum, articoli di giornali, quadri, canzoni…
”Il corpus delle nostre fonti è dunque colossale: sostanzialmente, milleduecento titoli di opere e di articoli, una cinquantina di film.”
Una varietà di materiali che in realtà torna ad ogni paragrafo a ribadire pochi e ben precisi concetti. Parole ed immagine che sostanzialmente affermano e confermano un indottrinamento continuo e martellante che inculca un unico obiettivo: eliminare l’individualismo ed eleggere la razza e il sangue tedesco come unico valore da difendere. La salvaguardia del sangue è l’unica morale e l’unica legge a cui obbedire.
In base una visione olistica dai Trattati di Versailles il mondo dei valori crolla e comincia un fermento di attività intellettuali, politiche, sociali ed economiche volto a capire come il popolo tedesco possa cambiare rotta. Non si tratta, tuttavia, del tentativo di trovare nuove strade ma scovare i vecchi sentieri e ristabilire l’antica etica della natura così che la Germania ritrovi la Weltanschauung (visione del mondo) originaria.
Seguendo le prescrizioni di tre azioni fondanti nell’ideologia nazista il testo è suddiviso in altrettante parti e quindi intitolate: -Procreare -Combattere - Regnare
Lavorare per la fertilità considerata sana e dunque al contempo eliminare tutto ciò che è considerato patogeno (persone ritenute difettose nel corpo e nella mente, omosessuali e tutti gli ebrei indistintamente); partendo dal principio che è da sempre in atto una guerra razziale occorre battersi per ottenere la supremazia e dunque espandersi e governare secondo la legge del sangue.
Passaggi molto interessanti in cui si delinea la gerarchia del vivente (gli animali ad esempio sono tutelati con leggi speciali…) ribadita da più parti.
Nel complesso un po’ ripetitivo anche per mancanza di uno spirito narrativo dell’autore che rimane un po’ troppo didascalico.
Resta comunque uno studio interessante.
“Himmler domanda dunque ai giuristi, ai quali rivolge questo discorso, di fare in modo che il diritto tedesco, semplificato, sia reso congruente alle leggi della natura e della razza, come accadeva un tempo: «I concetti fondamentali del diritto devono corrispondere al sangue e allo spirito generati dal corpo della nostra razza. Se riuscirete a formulare questo diritto e a riassumerlo in un corpo di massime – non in paragrafi ma in aforismi pieni di intelligenza e di saggezza, comprensibili per il piú semplice tra gli uomini, privo di cultura giuridica – avrete compiuto un’opera immensa. » “...more
Declinato al femminile, quel Witness, genera in me un' ingenua aspettativa. Così credo di apprestarmi a leggere un’inchiesta di carattere sì storico ma anche sociale nel suo puntare i riflettori sui soggetti da sempre silenti in certe epoche e società, ossia, le donne.
Inizio, pertanto, la lettura con questa idea in testa ma capisco dalla seconda intervista che c’è un equivoco dato che il testimone è un uomo.
Quel Witness si rivela più come un generico "testimonianze"...
Ovviamente la vastità del territorio cinese richiede un approfondimento per le differenze che, nonostante tutti gli sforzi di omologazione, non sono scomparse, tuttavia soffermarsi su alcuni particolari non è stato per me gradevole. Dunque, a parte le virata che ho dovuto fare rispetto alle aspettative e a parte una certa lungaggine sulle descrizioni storico-geografiche della Cina, il saggio è una buona prova giornalistica.
Xinran ha girato in lungo e in largo il paese intervistando over settanta e dunque persone che hanno vissuto sia la proclamazione della Repubblica Popolare Cinese (1949) sia l’epoca della Rivoluzione Culturale di Mao negli anni ’60.
Al di là dei singoli aneddoti, fondamentale in queste testimonianze è il senso di colpa soprattutto nei confronti dei figli spesso abbandonati a se stessi in un momento in cui si era portati più a sopravvivere che a vivere.
C’è poi un atavico concetto di “colpa” presente:
...nel diritto cinese. Già nel secondo millennio a.C. la famiglia di un criminale era punita con la stessa severità del criminale stesso. Nei mille anni successivi questo principio strinse in una morsa il sistema giudiziario.”
Dunque stare in silenzio, tacere, in un clima di terrore, è stata una caratteristica comune. Xinran, con questo suo voler ridare la voce ha il duplice intento di rispolverare, da un lato, il glorioso passato che agli occhi occidentali è stato offuscata dall'immagine stereotipata del paese. Dall’altro, riallaccia i rapporti generazionali dove i genitori raccontano ai figli ciò che non hanno mai avuto la possibilità di dire.
Xinran arricchisce con le proprie riflessioni cercando – lei per prima- di non sentirsi in colpa per aver lasciato la Cina e cercando di contribuire perché il passato non venga risucchiato del tutto da questo paese che viaggia velocemente sui binari della modernizzazione.
Il viaggio di Xinran è attraverso il tempo e attraverso le parole che raccoglie anche fuori dai contesti dell’intervista organizzata. Attimi che coglie in momenti di vita quotidiana e ci parlano di come la Cina si sia trasformata:
– Caffetteria Starbucks, accanto al palazzo presidenziale di Nanchino, 4 maggio 2007:
Un cliente straniero che parla cinese: Caspita, com’è bello qui! CAMERIERE: Vero? Nell’epoca repubblicana faceva parte del palazzo presidenziale. CLIENTE STRANIERO: Perché non l’avete fatto diventare un museo? CAMERIERE: Sarebbe stata una risorsa sprecata, non le pare? Non ci avremmo ricavato un soldo. CLIENTE: È un vero peccato che un posto tanto bello sia diventato una caffetteria! CAMERIERE: No, non è vero. Qui mescoliamo i migliori prodotti del mondo con la cultura tradizionale cinese....more
Titoli di giornale roboanti che provocano l’isteria collettiva. Organizzazioni governative che si compattano contro il Mostro Droga diffondendo campagTitoli di giornale roboanti che provocano l’isteria collettiva. Organizzazioni governative che si compattano contro il Mostro Droga diffondendo campagne che allarmano facendone terrorismo psicologico. Ecco che lo Stato stesso diventa spacciatore e quello che smercia è una valanga di dati pompati, di informazioni che non sono tali perché non danno conto delle reali componenti farmacologiche. Le campagne di questo genere hanno nei decenni rinforzato tutta una serie di pregiudizi sociali che condannano a vista ogni minoranza etnica. La risposta è una chiusura sempre maggiore delle comunità che non a caso sono sempre più ghetto con propri codici e linguaggi di riconoscimento. Disoccupazione ed esclusione sociale si assommano alle mancate opportunità di scolarizzazione.
Un importante testo critico che mantiene un ottimo equilibrio tra il testo scientifico divulgativo e la testimonianza diretta ed autobiografica dell’autore Carl Hart che nel 1996 fu l'unico studente nero in tutti gli Stati Uniti a conseguire un dottorato in neuroscienze. .
La sua storia, però parte dal ghetto di Miami e sono solo piccoli particolari quelli che lo porteranno a distanziarsi sempre più dal destino comune a tutti i ragazzi e le ragazze della comunità afroamericana. Piccole svolte della vita che hanno fatto la differenza.
Un testo critico molto importante perché è vero che ci parla di una realtà sociale che non è quella nostrana ma nonostante le ovvie differenze dobbiamo riconoscere lo stesso humus di fondo che rende fertile il terreno di crescita dei pregiudizi socio-culturali.
Come si può negare che nero ↔ droga ↔ delinquenza sia una concatenazione di pensiero diffusa?
Tutto viene dato per scontato ma Hart ci fa capire non lo è perché la vita di una persona è composta da tante varianti e non può essere massificata e giudicate per il gruppo etnico di appartenenza.
Il pregiudizio come sempre trova fondamento nella grande ignoranza e quelli che si fanno chiamare organi d’informazione non informano affatto ma, al contrario, diffondono falsità per cui se dico cocaina penso a consumatori ricchi (bianchi) e non pericolosi; se, invece, dico” crack” penso ai neri, poveri, dipendenti e assolutamente nocivi per la società. Quanti sanno, invece, che cocaina e crack sono farmacologicamente la stessa cosa?
Che i difensori della pubblica morale non si spaventino, però, il Professor Carl Hart non propugna la liberalizzazione ma qualcosa che si chiama depenalizzazione *.
Basta non scrivo altro se non: leggetelo, informatevi e diffondete.
“Ci sono perdenti e vincenti. Ci sono perdenti perché ci sono vincenti. “Ogni condizione esiste,” scrisse una volta Martin Luther King jr, “semplice “Ci sono perdenti e vincenti. Ci sono perdenti perché ci sono vincenti. “Ogni condizione esiste,” scrisse una volta Martin Luther King jr, “semplicemente perché qualcuno ne ricava un guadagno. Lo slum è la cristallizzazione di questo sfruttamento economico”
“Sfrattati” è un saggio etnografico spogliato da aride tabelle e statistiche. Entrando nelle vite, sia di alcuni sfrattati sia dei padroni di casa, Desmond ci racconta episodi paradigmatici. Siamo a Milwaukee ma lo scenario è quello presente in ogni stato americano: è il divario sempre più netto tra povertà e profitto.
”Nelle lingue parlate in tutto il mondo, la parola che significa “casa” rimanda non solo a un rifugio, ma anche a calore, sicurezza, famiglia – il ventre materno.
Casa significa tetto e pareti: un riparo concreto dalle intemperie. Casa è il punto di riferimento umano e la sua assenza non ha solo conseguenze fisiche ma psicologiche. Essere sfrattati significa cambiare quartiere, perdere il lavoro, cambiare amici, vicini… Gli effetti sono devastanti e, giocoforza, si propagano raggiungendo con forza i bambini il cui presente è condizionato ed il futuro seriamente compromesso.
Quella degli sfratti è una spirale da cui non si riesce ad uscire facilmente e se esistono politiche di assistenza ma non sono né adeguate né sufficienti. In tutta evidenza: ” lo sfratto è una causa, non solo una condizione, della povertà.”
Ma perché fino al secolo scorso gli affittuari si univano per richiedere più tutela sui propri diritti? C'è solo una risposta ed è sconcertante: perché in passato c’era più coscienza delle ingiustizie e dunque ci si batteva per ottenere cambiamenti e perché ” la resistenza di massa è stata possibile solo quando la gente credeva di possedere la capacità collettiva di cambiare le cose” Oggi, invece, c’è rassegnazione: si rinuncia a credere che gli obiettivi possano essere ottenuti unendosi. Ci si chiude in un vergognoso dolore dove singole persone o famiglie affondano nella propria personale palude di estrema povertà.
A tutto ciò si aggiunge la questione razziale che rimane ancora oggi un problema socio-politico grave della società statunitense.
” Come sempre, il tribunale era pieno di donne nere. In media, 3 persone su 4 nel tribunale degli sfratti di Milwaukee erano nere. Di queste, 3 su 4 erano donne. Il numero complessivo delle donne nere nel tribunale degli sfratti superava quello di tutti gli altri gruppi messi insieme”
Desmond è andato a vivere in un caravan per quattro mesi per raccontarci da un lato lo squallore in cui vivono le persone di un campo e dall’altro le logiche di chi possiede case mobili malconce. Poi per altri due mesi ha condiviso un duplex nel North Side, il quartiere a prevalenza nera e ai limiti della povertà di Milwaukee. Anche qui ci fa vedere le due facce della stessa medaglia: la borghese afroamericana Sherrena che ha costruito la sua ricchezza investendo in tuguri perché scopre che affittare ai disperati è il business che arricchisce con sicurezza. Poi ci sono le storie di queste cavie dell’umanità: le porte si aprono sulla disperazione che si affoga nell’alcool e nella droga. Sudice stanze da cui si è continuamente sfrattati in una storia desolante che si ripete.
Scritto come un romanzo (a tratti, forse, un po'troppo narrativo...), “Sfrattati” è un resoconto di vita vera dove l’autore stesso si è messo in gioco. Un lavoro che è costato molto a Desmond in termini personali per essersi portato dietro una profonda depressione ed un senso di colpa come testimoniava un suo diario: ” Mi sento sporco a raccogliere queste storie e queste difficoltà come se fossero altrettanti trofei.”
Sicuramente un lavoro doloroso ma importante e necessario dal punto di vista politico, sociale e, soprattutto, umano.
” La cosa più difficile per chiunque lavori sul campo non è entrare; è andarsene. E il dilemma etico più difficile non è come rispondere quando ti chiedono aiuto, ma come rispondere quando te ne danno tanto. Sono stato oggetto di innumerevoli atti di generosità da parte delle persone conosciute a Milwaukee. Ciascuna di esse mi ricorda con quanta grazia queste persone rifiutano di farsi identificare con le loro difficoltà. La miseria non ha prevalso sulla loro profonda umanità.” ...more
Kurdistan Iraq Afghanistan Pakistan ex-Jugoslavia Etiopia Angola Ruanda Perù Cambogia Repubblica di Gibuti
Cosa hanno in comune questi luoghi?
Sono terre in cui hKurdistan Iraq Afghanistan Pakistan ex-Jugoslavia Etiopia Angola Ruanda Perù Cambogia Repubblica di Gibuti
Cosa hanno in comune questi luoghi?
Sono terre in cui hanno attecchito i semi dell'odio. Sono terre annaffiate con la rabbia; concimate con le barriere artificiali dell'etnia. E poi ingrassate con strumenti di morte: le mine.
«“Mina” è un’abbreviazione di “minaccia”?», mi chiedo.
«Ma la minaccia è un avvertimento. La mina ha la concretezza di qualcosa che si avvera…»
Così rimugino. Intanto Gino Strada fa riflettere.
Le mine…
Ci sono “uomini” che le hanno pensate. “Uomini” che le hanno messe su carta. “Uomini” che le hanno realizzate. “Uomini” che le hanno vendute. E gli stessi “uomini” hanno una famiglia…
Famiglie lontane da queste terre seminate di morte. Una semina il cui raccolto è riservato al 90% della popolazione civile mentre lavora un campo per sfamarsi oppure a quei bambini che giocano…
Non sono tutti uguali i bambini. Qui bambini che piagnucolano di fronte ad un cerottino per un ginocchio sbucciato. Lì nessun lamento di fronte all’amputazione di un arto.
In questi luoghi Gino Strada ha operato, sofferto, sperato. Dice di essere una goccia nel mare. E tu leggi e pensi: «..se lui (lui!!) è una goccia, io allora mi sento un’inutile ameba!»
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Gino Strada chirurgo sì ma chirurgo di guerra. Gino Strada marito e padre. Al dolore che vede ogni giorno si aggiungono i sensi di colpa per le scelte che includono il mondo e spesso escludono la sua famiglia. Gino Strada figlio. Il ricordo di una bicicletta si lega all’immagine di un padre grande maestro di vita. Un diario di vita e di morte. Non lo scordo...
“Vorrei che il mio messaggio fosse un inno alla diversità, alla possibilità di essere quello che vuoi. Allora, capito? È fattibile, fattibile per tut “Vorrei che il mio messaggio fosse un inno alla diversità, alla possibilità di essere quello che vuoi. Allora, capito? È fattibile, fattibile per tutti. FOLCO: Cosa è fattibile? TIZIANO: Fare una vita, una vita. Una vera vita, una vita in cui sei tu. Una vita in cui ti riconosci.”
La verità è che sono anni che schivo Terzani. Lo schivo ogni volta che vado a casa dei miei e ritrovo uno dei suoi libri lasciato in giro da uno dei miei fratelli. Mi pare che una volta ne sfogliai uno (credo “Un indovino mi disse”) ma con svogliatezza, senza leggerne nessun passo. Nessuna ragione in particolare ma un pregiudizio nato da una sensazione stupida perché senza fondamenta. Per me Terzani era un rappresentate di una qualche corrente New Age. E dire che non sopporto questo etichettare senza conoscere così tipico dell’ignoranza!! Invece ci sono cascata lasciandomi imbrigliare dall’immagine: quell’uomo che associavo direttamente a Gandalf il Bianco e che aveva viaggiato a lungo in Oriente non rientrava nella mia sfera d’interessi, punto e basta. Invece no! Ho avuto la fortuna di potermi ricredere.
“La fine è il mio inizio” è il libro in cui Terzani padre traccia le linee della sua vita al figlio Folco: il libro giusto per cambiare idea. Tiziano è pronto a morire, ha accettato il male che lo sta consumando ma prima di abbandonare il suo corpo fa una proposta al figlio:
” …e se io e te ci sedessimo ogni giorno per un’ora e tu mi chiedessi le cose che hai sempre voluto chiedermi e io parlassi a ruota libera di tutto quello che mi sta a cuore, dalla storia della mia famiglia a quella del grande viaggio della vita? Un dialogo fra padre e figlio, così diversi e così eguali, un libro testamento che toccherà a te mettere assieme.”
Una vita avventurosa, piena di storie di volti e quell’essere in mezzo alla Storia. Firenze, Pisa, l’Olivetti, gli Stati Uniti, Vietnam, Cambogia, Singapore, Cina, Hong Kong, Filippine, Giappone, India…. Un uomo che sente l’urgenza di vedere altri luoghi ma soprattutto di conoscere altri modi in cui la vita è interpretata.
” Ed è la mia speranza che fra cinquanta, cent’anni qualcuno ritrovi per caso un mio libro nei remainders o in una vecchia biblioteca e, non sapendo chi sono stato, come sarà perché è sempre così, cominci a leggere e mi riconosca, riconosca un sentimento, qualcosa che lui ha vissuto in quello stesso paese. E in quel momento io rivivrò un piccolo momento di eternità. “...more
Un racconto autobiografico dove si è travolti da un flusso continuo di emozioni.
Rabbia ”se mi permettessi di per “Il passato è scritto sul mio corpo”
Un racconto autobiografico dove si è travolti da un flusso continuo di emozioni.
Rabbia ”se mi permettessi di perdere le staffe, butterei fuori una rabbia enorme.”
Vergogna ”Mi vergognavo. Mi vergogno. Chi potrebbe guardarmi con ammirazione? “
Paura ”Ho il terrore degli altri. Ho il terrore di come è probabile che mi guardino, mi osservino, parlino o dicano cose crudeli su di me. Ho il terrore dei bambini, della loro innocenza e della loro brutale sincerità e della loro tendenza a fissarmi imbambolati, a parlare di me ad alta voce, a chiedere ai genitori, e talvolta perfino a me: «Perché sei cosí grossa?» Ho il terrore della pausa imbarazzata dei genitori di quei bambini mentre cercano una risposta appropriata.”
Odio ”Odio me stessa. O la società mi dice che dovrei odiare me stessa, per cui immagino che almeno questa sia una cosa che faccio bene. Per meglio dire, odio il mio corpo. Odio la mia debolezza, l’incapacità di controllare il mio corpo. Odio come mi sento nel mio corpo. Odio come la gente vede il mio corpo. Odio come la gente fissa il mio corpo, tratta il mio corpo, commenta il mio corpo. Odio equiparare l’autostima alla condizione del corpo e odio la fatica che faccio a non equipararle. Odio la fatica che faccio ad accettare le mie umane fragilità. Odio deludere tantissime donne, incapace come sono di accettare il mio corpo, qualunque sia la sua taglia.”
Gelosia ”Fremo di gelosia. Voglio essere parte del mondo attivo. Lo voglio con tutte le mie forze. Ci sono tante di quelle cose di cui ho fame.”
Dolore ”Un’urgenza incontrollabile di abbuffarmi, di soddisfare il dolore crescente, di riempire il vuoto della solitudine”
Invidia ”Sono piena di desiderio e sono piena di invidia, un’invidia spesso terribile.”
Al centro un corpo «patologicamente obeso» che s’impone occupando spazio e cozzando contro l’unica immagine fisica legittimata. Una società che divide i corpi sulla linea del peso: chi va oltre sconfina diventando disgustoso.
Cosa si prova ad essere continuamente una presenza imbarazzante?
” Il corpo obeso è espressione di eccesso, decadenza e debolezza. Il corpo obeso è il luogo di un’infezione grave. È il campo di una battaglia persa in una guerra tra volontà, cibo e metabolismo, e lo sconfitto definitivo sei tu.”
Roxane Gay- insegnante, scrittrice ed attivista statunitense- ci racconta la sua storia così strettamente correlata alla dimensione fisica.
”Sono un’adulta armata di parole, posso fare qualunque cosa, ma quando devo portare il mio corpo nel mondo il coraggio viene a mancarmi.”
Un corpo alimentato a dismisura che cresce e si fa corazza per schiacciare il dolore di una violenza bestiale subita a soli dodici anni. I cumuli di grasso si fanno baluardo tra il sé ferito e il mondo là fuori con le sue crudeltà. Mantenere le distanze e negarsi alimenta sempre più la fame.
Fame di sé Fame di riconoscimento Fame di amore
Insaziabile voglia di vivere in un mondo fuori misura.
”Mangiavo e mangiavo e mangiavo, ma era raro che mangiassi qualcosa di memorabile per ragioni diverse dalla quantità. Mangiavo senza pensarci, solo per riempire la ferita enorme che ero o per cercare di riempire la ferita enorme che ero. Ma per quanto mangiassi, sentivo ancora dolore ed ero ancora terrorizzata dagli altri e da ricordi cui non riuscivo a sfuggire. ...more